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L’Industria 4.0, traino per il vigneto?


Industria 4.0 è il termine con cui viene indicata la nuova frontiera della produzione industriale, quella fatta con l’utilizzo di robot, di sensori, di stampanti 3D ed Internet of Things, e dove l’operaio specializzato è sempre più spesso un ingegnere esperto di queste tecnologie.

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Ne è un esempio la fabbrica Avio Aero di Cameri, Novara, dove in un capannone con 60 stampanti 3D una quindicina di tecnici ed ingegneri producono le pale della turbina del Boeing 787. O la Alstom di Savigliano, Cuneo, dove viene assemblato il Pendolino, novecentomila pezzi e cinquantamila componenti da assemblare tramite tablet e monitor touch che inviano le informazioni alle stazioni robotizzate di montaggio.

Perché 4.0

E’ un termine ormai entrato in uso nel mondo industriale, e vuol dire ancora poco. Significa semplicemente che il modo di produrre oggetti si sta modificando, migliorando in efficienza e richiedendo competenze sempre più elevate.

L’industria 1.0 è nata nel XVIII secolo con l’utilizzo delle macchine a vapore; la 2.0 nel XIX con l’uso dell’elettricità.

Nel XX secolo nasce Internet, e utilizzare i computer per trasferire informazioni, progetti, disegni, centralizzare le lavorazioni, costituisce la terza rivoluzione industriale.

Il XXI secolo ci sta proponendo un uso più maturo e intelligente della Rete, che viene usate non più solo per trasferire informazioni ma soprattutto per trasferire comandi, istruzioni da macchine ad altre macchine. Tutti i processi di lavorazione, di controllo del prodotto, di vendita, stanno subendo una trasformazione epocale, da cui non solo non si potrà tornare indietro, ma soprattutto che lascerà a piedi coloro che non si adegueranno al nuovo mondo.

La locuzione ‘mano d’opera’ sarà sempre più obsoleta, perché gli operai non faranno quasi più operazioni manuali, ma ne seguiranno gli sviluppi e ne correggeranno le deviazioni dagli standard utilizzando i computer, e programmandone di migliori.

Vigneto 4.0

Sembra che in tutto questo l’agricoltura, e la viticoltura in particolare, debbano rimanere fuori. Perché non è possibile fare il vino, o raccogliere le olive, o tagliare il grano, con l’utilizzo delle sole macchine.

In realtà le vendemmiatrici automatiche già esistono, ed i trattori sono utilizzati da più di un secolo dagli agricoltori. Anche l’aratro é una macchina, ed il fatto che venga trainata da un bue anziché da 200 cavalli (vapore) non ne modifica l’essenza di aiuto meccanico nella lavorazione.

D’altra parte, alcune operazioni non possono essere demandate completamente ad una macchina, il lavoro di un agricoltore, di un viticoltore, o di un allevatore, è fortemente legato alla terra ed alla manualità, almeno nel nostro immaginario collettivo, nel senso che finché un trattore costerà più di un centinaio di raccoglitori nordafricani, la mano d’opera continuerà ad essere usata.

Il mondo dell’agricoltura però dovrebbe ragionare sul fatto che è necessario, oggi, trasformarsi da soli produttori di beni (il vino, la frutta, l’olio, il grano per il pane), in produttori di beni E di servizi.

Nuovi modelli per la viticoltura

La parcellizzazione dell’agricoltura, così come quello dell’industria, deve diventare stimolo nell’utilizzo di sistemi di controllo del processo produttivo, della qualità finale, della filiera di vendita e della fidelizzazione del cliente.

Non tutte le fasi della lavorazione agricola possono essere automatizzate, naturalmente, e non tutte le produzioni sono uguali: un robot che si inerpica tra i filari dei vigneti della Liguria dovrebbe essere più o meno come il rover Opportunity.

E’ quindi nel segmento dei servizi offerti, che l’industria vinicola, e comprendo anche i vignaioli più piccoli, che le nuove tecnologie possono essere utili. Il settore del B2C potrebbe essere il più promettente, perché generalmente chi compra il vino diventa un tifoso di quell’etichetta, di quel vino in particolare (guardate cosa sta facendo il Prosecco solo con il marketing), magari di un packaging accattivante. Ma il wine lover ormai è social, e le crescite a 2 cifre nei guadagni delle app per valutare il vino che si sta bevendo, stanno lì a dimostrarlo.

La rete e i device connessi sono ormai strumenti essenziali per differenziare un prodotto.

Perché sono utili per conoscere lo stato delle proprie bottiglie ferme al porto di Shanghai, o per mostrare ai propri clienti nelle sale di degustazione, dove e quante ne vengono stappate, in tempo reale.

Perché sono necessarie per accedere ai nuovi mercati, come ad esempio i sistemi di riconoscimento delle bottiglie, e quindi essere presenti innanzitutto sul web, non solo con una paginetta social, ma soprattutto con l’interazione con i propri clienti o possibili tali. E conoscere le abitudini di acquisto, orari, stagionalità, luoghi, è importante per analizzare poi l’andamento del proprio business. E coinvolgerli con l’interattività può essere una buona idea.

Aiutare il proprio istinto e la conoscenza della propria vigna con misurazioni e numeri, potrebbe fare la differenza tra una vendemmia preoccupata ed una tranquilla.

Fornire la scheda tecnica del vino semplicemente inquadrando un QR-Code, o sfiorando la bottiglia con il proprio smartphone per leggere un tag NFC posto dietro l’etichetta, è un buon valore aggiunto.

Probabilmente anche il vignaiolo dovrebbe andare a capire come le nuove tecnologie possono aiutarlo nel processo produttivo, di vendita, di comunicazione.

Altrimenti la tradizione e la localizzazione diventeranno sempre più un freno anziché un acceleratore per il vino italiano.

 

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