Vino e geolocalizzazione: Enogea

Sembra strano, ma non esiste alcun progetto ufficiale sulla geolocalizzazione e la mappatura delle zone DOC e DOCG del vino italiano.

Mappe digitali del vino

In Francia un progetto di questo tipo sembra faticosamente aver preso il via, per merito di OpenWines, mentre per quel che riguarda l’Italia si riesce a trovare Geonue, con dati parziali scaricabili anche in formato csv, oltre che un file kmz da importare direttamente in Google Earth.

Sui siti istituzionali, come il Ministero delle politiche agricole, non compare nulla che riguardi il vino nella sezione Open Data, men che meno sul sito di Federdoc. Sul sito della Regione Lombardia esiste un insieme di dataset tra cui le superfici vitate, che è possibile scaricare in formato csv e visualizzare con grafici differenti. Mancano però i riferimenti geografici. 

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[wc_highlight color=”green”]Spot GEN3 – GPS satellitare con funzione di localizzatore e messaggistica, colore: Arancione[/wc_highlight]

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Se avete mai letto sui disciplinari delle denominazioni la descrizione del territorio di competenza, vi rendete conto che è piuttosto complicato costruire una mappa in questo modo, a meno di non seguire passo passo le indicazioni, usando una applicazione per inserire i tag geografici e disegnarne poi i confini.

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Ogni volta che un confine si modifica, o una DOC diventa DOCG con limiti territoriali differenti, le cartine devono essere modificate.

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Applicazioni free che consentono di disegnare mappe online e poi renderle disponibili a tutti ne esistono, come ad esempio uMap, un progetto di OpenStreetMap, o Carto, un Software as a Service (SaaS) fruibile da web che consente di caricare i propri dati da un foglio elettronico e presentarli su una mappa interattiva.

Gli Open Data ed il Vino

Il concetto di Open Data, ossia dati liberi e fruibili per chiunque, è l’evoluzione digitale dei Pubblici Registri, solo che non è necessario fare file agli sportelli o pagare oscuri balzelli: al massimo bisogna lasciare il proprio indirizzo email, e la loro utilità sta diventando sempre maggiore.

In Italia potete controllare il sito degli Open Data e scaricare, ad esempio, la mappa delle panchine di tutta Italia. Un esempio di come un insieme di dati può essere utilizzata per la costruzione di mappe.

Fornendo dati liberi, si lascia all’utilizzatore il compito di costruire elaborazioni, reti logiche e mappe che saranno poi visibili a chiunque, anche ovviamente all’ente o all’azienda che ha prodotto la base dati.

In questo modo i compiti vengono suddivisi in modo equo: da un lato chi produce i dati (ad esempio grazie ad un censimento), dall’altro la mole di cittadini che ne fanno un uso intelligente, sia per controllare cosa viene fatto dalle Pubbliche Amministrazioni o dalle Aziende, sia per fornire (gratuitamente, in fondo) un valore aggiunto estratto dai dati aziendali.

In campo enologico, molteplici sono gli usi che si potrebbero fare utilizzando gli Open Data per la costruzione di mappe digitali.

Opportunità delle mappature digitali

Un Consorzio potrebbe verificare a colpo d’occhio quanto vino viene prodotto in base alla zona del proprio territorio, mentre un produttore potrebbe, con i dati di vendita, scoprire mercati nuovi che fino a quel momento non aveva considerato.

L’incidenza di malattie della vite dipende molto  dall’annata, il tipo di territorio o il clima, come sa già ogni viticoltore, ma correlando questi dati con l’uso di medicinali o particolari fertilizzanti la conoscenza del vignaiolo può migliorare, convincendolo ad esempio che usare un certo prodotto può essere non solo dispendioso ma anche dannoso a lungo termine.

Scoprire che le proprie bottiglie, che una volta che salgono sul furgone del distributore non danno più notizia di se, vengono bevute soprattutto in Svezia o in Giappone, può indurre il produttore ad aggiungere una pagina in svedese o in giapponese al proprio sito web.

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Costruire una mappa dei visitatori della propria cantina per età e provenienza geografica può migliorare il sistema di accoglienza e quindi aumentare le possibilità di vendita.

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E’ chiaro che tutto questo richiede investimenti, e se un’azienda decide di lanciarsi nell’affare della raccolta dati di mappatura ha bisogno di un rientro economico.

[wc_highlight color=”green”]Reperire i dati grezzi, banalmente le coordinate geografiche delle aziende, comporta uno sforzo non indifferente.[/wc_highlight]

L’esperienza di Enogea

Enogea mappe
La MGA Barolo nelle edizioni Enogea

Tra chi conosce bene il mondo del vino e delle carte geografiche c’è Alessandro Masnaghetti, editore ed ideatore di Enogea. Le mappe di Masnaghetti sono estremamente accurate, e riportano anche le coordinate geografiche delle cantine visitate.

In uno scambio di email, Alessandro mi ha spiegato che il lavoro è stato effettuato andando a visitare le cantine una per una, riportando con precisione latitudine e longitudine e poi costruendo la mappa.

Tutto ‘homemade e handmade’, come mi ha scritto lui.

Alla mia domanda se non pensa che dovrebbero esistere dati open di questo tipo, comprensibilmente mi ha risposto che un lavoro come quello che ha fatto lui ha comportato enormi investimenti di tempo e danaro, ed alla fine si vuole vedere un ritorno ecnomico che consenta di portare a casa uno stipendio.

Ovvio e condivisibile: c’è un investimento in una attività se si prevede di averne un guadagno indietro, in caso contrario sarà molto difficile avere a disposizione per tutti (gratis) dati di questo o di altro tipo. La parte pesante di questo lavoro è stata senza dubbio il reperimento e l’aggiornamento dei dati. Quasi tutte le regioni hanno una sezione di Open Data nel proprio sito, ma poche mappe e soprattutto con dati vecchi di almeno due anni.

Condividere è la soluzione

Da parte di Consorzi ed Associazioni di produttori però sarebbe semplice avere i dati, che potrebbero richiedere semplicemente ai loro iscritti. L’investimento sarebbe minimo (anche se non nullo) e pubblicità e mercato ne trarrebbero giovamento, visto che se i dati potrebbero essere open (quindi gratuiti per tutti) nella loro forma grezza, chi poi ne fa l’elaborazione ha tutto il diritto di farsi pagare per il prodotto finito.

Nel 1999 il primo progetto di calcolo distribuito, e sicuramente il più grande, fu  Seti@home, dove il SETI (Searching ExtraTerrestrial Intelligence, un progetto per trovare segnali intelligenti provenienti dallo spazio), chiedeva a tutti coloro che possedevano un computer ed una connessione Internet di mettere a disposizione parte della loro potenza di calcolo, fornendo un piccolo insieme di dati ed un software di elaborazione. Alla fine del calcolo, i risultati aggregati venivano inviati al centro SETI presso l’università di Berkeley in California.

Era in pratica l’idea dei Big Data di oggi, una enorme mole di dati non omogenei e non aggregati da cui batterie di grossi server tentano di estrarre un senso compiuto.

Per quel che riguarda il vino, i dati possono essere generati direttamente e con poco sforzo dai produttori vinicoli, e poiché un vignaiolo non può permettersi di affittare uno spazio in un Data Center, l’alternativa è il calcolo distribuito, ossia mettere a disposizione di migliaia di computer, quelli degli utenti, i propri dati, e far fare ai propri clienti il lavoro sporco.

 

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