Come ho già detto altre volte, soprattutto su Storie del Vino, io sono un grande appassionato della radio. Da ragazzo ascoltavo con piacere, la notte, anche il Bollettino dei Naviganti, pensate un po’.
Viva la RAI ed i suoi podcast
La RAI offre sui suoi tre canali radio (oltre a quelli Web), programmi di ottima qualità dove si riesce a capire qualcosa senza perdersi tra gente che strilla o che si azzuffa. Non sempre si ha il tempo per ascoltare la radio, ma per fortuna esistono i podcast, in pratica la buona abitudine di molte trasmissioni radio di depositare il file mp3 in un server ed inserirlo nei database appositi. Da lì sarà facile cercare e scaricare la puntata della nostra trasmissione preferita, per ascoltarla con uno smartphone, sia iOS che Android.
Tra le varie trasmissioni che scarico regolarmente, Eta Beta su Rai Radio1, di Massimo Cerofolini (@EtaBetaRadio1), e Radio3Scienza su Rai Radio3 di Marco Motta e con Roberta Fulci (@Radio3Scienza). Di Eta Beta ne ho già parlato su Storie del Vino.
Poco più di un quarto d’ora la prima, poco meno di mezz’ora la seconda: l’approfondimento e lo stimolo alla curiosità non hanno bisogno di ore tediose, e questo va al merito dei conduttori e delle loro redazioni.
Nuove Tecnologie alla Radio
Ne parlo qui perché sia l’una che l’altra trasmissione hanno trattato l’argomento attorno cui ruota questo blog, ossia l’uso delle nuove tecnologie in agricoltura, nella viticoltura e, in generale, nel controllo di cosa accade ai nostri spazi verdi.
Vi consiglio vivamente di inserire entrambe le trasmissioni nella vostra lista di podcast preferiti.
Ospiti e conduttori hanno parlato di agricoltura di precisione, di uso dei droni, trattori senza pilota (ne ho parlato qui, ricordate?) e di dati ricevuti da satellite. Su questo secondo punto sto preparando un post dedicato alla costellazione di satelliti Copernicus.
Monitoraggio da terra
A Eta Beta si parla in modo esplicito di agricoltura di precisione come un sistema integrato di metodi agronomici e tecnologici per diminuire l’uso di agrofarmaci e razionalizzare il consumo di acqua, con la gestione di tutti i dati che possono essere raccolti da terreno e piantagioni. Il professor Michele Pisante dell’Università di Teramo ha aggiunto che tutte queste informazioni possono essere importanti anche nella catena della distribuzione, migliorando la conoscenza dei prodotti da parte dei consumatori e fornendo valore aggiunto a tutta la filiera.
Ha poi centrato uno dei problemi che ostacola l’uso di tecnologie in agricoltura; la parcellizzazione del territorio agricolo italiano può essere un freno nell’uso delle nuove tecnologie a causa dei costi non facilmente sostenibili da piccole aziende familiari.
In Italia solo l’1% del territorio agricolo viene lavorato usando i nuovi metodi, ricorda Massimo Cerofolini, mentre negli USA le percentuali sono molto più elevate, così come in Australia aggiungo io.
La mia opinione è che il gran numero di aziende agricole produce sia la grande varietà alimentare italiana, che quella sorta di divisione che spesso è ostacolo alla creazione di un intento comune. Unirsi e condividere sembra proprio l’unica soluzione.
La frontiera della georeferenziazione
Il professor Bruno Basso della Michigan University e fondatore di CiBO Technologies, altro ospite a Eta Beta, ha parlato di trattori senza pilota e di georeferenziazione, con app che consentono di avere sul proprio smartphone in ogni momento la situazione dell’appezzamento. Ha spiegato l’uso dei droni per misurare la salute di piante e terreno e dei sensori di monitoraggio, o meglio dei “sensori naturali’, una specie di spie vegetali che controllino un numero inferiore di piante e superficie di suolo rispetto a quelli digitali, così da averne di più nel terreno ed una maggior precisione di lettura.
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Questo è il link ai podcast di Eta Beta: Eta Beta – L’agricoltura si fa tech – 17/03/2017
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Monitoraggio dal cielo

Su Radio3Scienza l’argomento è nato dal lancio da parte dell’ESA del satellite Sentinel 2-B della costellazione Copernicus, spiegato e raccontato nell’intervista di Marco Motta a Lorenzo de Cosmo, giornalista scientifico e collaboratore dell’ANSA. Il satellite si trova a 800 km dalla superficie della Terra, ed è parte di questo insieme di satelliti dedicati al monitoraggio dell’ambiente. Scopo di questo insieme di satelliti è anche verificare la possibilità di implementare nuove opportunità di sviluppo nel settore ambientale, tra cui ad esempio l’agricoltura di precisione.
Ecologia 4.0
Carlo Buontempo, è ricercatore del Copernicus Climate Change Services di base a Reading, UK, la rete di istituti che si occupa di previsioni meteo a medio termine e dei cambiamenti climatici, ed ha spiegato in dettaglio le applicazioni dei satelliti Copernicus.
Utilizzo e sfruttamento dei bacini idrici, inquinamento delle città, effetti dei movimenti tellurici sulla crosta terrestre, la crescita delle piante o l’innalzamento degli oceani, sono tutti dati che vengono raccolti dal Sentinel 2-B.
Tra gli altri sono stati intervistati anche Daniel Weeks e Steven Spittle, ricercatori di Satellite Application Catapult, un facilitatore per le aziende che si interessano di questi argomenti, che hanno spiegato come possano essere utilizzati i dati forniti dai satelliti nella conoscenza dello stato del terreno e delle coltivazioni. Tutti i dati vanno a comporre database aperti alla consultazione da parte di tutti.
E’ necessario, sottolinea Daniel Weeks, che i coltivatori vengano informati a quali informazioni potrebbero avere accesso, visto che questi dati provengono dai loro terreni. Steven Spittle ha invece raccontato come i dati provenienti dai satelliti nell’area attorno alle miniere, possano essere utilizzati per dirimere le controversie tra i proprietari delle miniere, i lavoratori ed i residenti delle aree urbane che le circondano.
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Questo è il link ai podcast di Radio3Scienza: Radio3Scienza – Uno sguardo dall’alto – 07 marzo 2017
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Dati condivisi e statistica distribuita
Quindi i dati esistono, e possono essere disponibili non solo a ricercatori e scienziati, ma anche agli agricoltori, ai viticoltori, agli agronomi ed enologi per avere una maggior conoscenza di quel che accade sopra e sotto il suolo.
Avere dati open è fondamentale, così come avere le piattaforme che ne consentano l’utilizzo distribuito, condividendo cioè la capacità elaborativa su ogni persona interessata e, soprattutto, potendo controllare i risultati di queste elaborazioni. Dalle varie interviste emerge un grande interesse verso la raccolta dei dati in agronomia, zootecnia, viticoltura, controllo ambientale in genere, con Università e centri di ricerca in prima linea con i propri esperti.
Un uso dei Big Data in agricoltura che porterà il proprio valore aggiunto sulle nostre tavole, nei nostri bicchieri, nell’aria che respiriamo.