Un Unicorno, nel gergo della moderna economia, è una startup che viene acquistata per 1 Miliardo di $, come ad esempio Snapchat, Uber, Dropbox, Pinterest e Climate Corporation.
In realtà quest’ultima è stata acquisita dalla Monsanto per ‘soli’ 930 milioni di $, ma i responsabili di Finistere Ventures la considerano comunque la prima Ag Unicorn.
Tanti soldi nel settore AgTech
Il fatto che sia stata comprata da Monsanto, dovrebbe costringere l’agricoltura e la viticoltura italiane ad essere più attente a quanto accade nel nuovo settore dell’AgTech.
Un gran numero di startups stanno oggigiorno tentando di persuadere gli agricoltori che possono ricavare molto più valore per ettaro. Inoltre, questi innovatori sperano di convincere gli investitori e conquistare rapidamente milioni di ettari, con margini simili alle aziende di software della Silicon Valley. (Arama Kukutai, partner di Finistere Ventures)
Gli investitori di AgFunder hanno stimato in oltre 4 miliardi di $ gli investimenti mondiali nel 2015 in ricerche sull’agricoltura, comprendendo progetti relativi a molecole di sintesi, biologia, droni e robot.
Efficienza economica della tecnologia
Il trend sembra segnato: mentre l’attuale ondata di startup si è dedicata alla raccolta ed alla elaborazione dei dati, la successiva si dovrà dedicare a dimostrarne l’efficacia economica e l’effettivo miglioramento delle lavorazioni:
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In media, gli agricoltori si attendono un ritorno di 3 dollari per ogni dollaro investito in tecnologia
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Tutto questo rischia di creare una bolla, una sorta di corsa al ‘Lo voglio anche io’ delle aziende agricole, in cui tutti dovranno avere il loro sistema di controllo.
Se ci spostiamo sulle aziende vinicole, qui il panorama è molto più attendista, nel senso che queste tecnologie non stanno ancora prendendo piede, almeno nel Vecchio Continente.
C’è però il rischio che quando la bolla scoppierà, e rimarranno in piedi solo poche aziende tecnologiche e molti agricoltori si staranno leccando le ferite, gli standard saranno ormai definiti, e se i produttori vinicoli non iniziano a pensare, fin da ora, come utilizzare determinate tecniche, potrebbero trovarsi tagliati fuori dal nuovo sistema commerciale (qualunque esso sarà) e dai suoi canali distributivi.
Pensare al futuro prima che arrivi
Il Vigneto Digitale non dovrebbe rimanere solo un modo di dire, o un insieme di sperimentazioni poco organizzate. Dovrebbe essere invece un modo per iniziare a parlare, coinvolgendo prima di tutto gli immobili consorzi vinicoli, su come utilizzare i sistemi di monitoraggio di prossimità o remoto, come mappare le zone vinicole e come queste tecnologie potrebbero essere utilizzate per studiare gli effetti dei cambiamenti climatici sui vigneti.
I test che Università o aziende private iniziano ad effettuare su alcuni vigneti, dovrebbero dimostrare non solo l’efficacia dei sistemi tecnologici, ma anche la loro efficienza economica, mostrando in modo puntuale dove il viticoltore può ottenere un risparmio, come può riuscire a tenere sotto controllo la filiera commerciale, o come offrire servizi accessori ai propri clienti.
In caso contrario, la viticoltura italiana rischierà di trovarsi a danzare alla musica di Stati Uniti ed Australia. E dal Paese che produce ogni anno più di 40 milioni di ettolitri di vino, credo che ci si dovrebbe aspettare di più.