Un dominio per il vino

Il presidente del consorzio Franciacorta, Riccardo Ricci Curbastro, si lamenta che i nuovi domini web .wine e .vin porteranno in rete ettolitri di vino contraffatto o quanto meno non rispondente alle caratteristiche dei disciplinari.

In realtà questo accade anche oggi, ma non mi sembra che qualcuno abbia proposto la chiusura di enoteche e ristoranti. 

Vediamo come stanno le cose, ripetendo in parte quanto ho già scritto in un mio precedente post
La società che si aggiudicherà la gestione, da parte dell’ICANN, di uno o di entrambi i domini, avrà la possibilità di rivendere nomi di secondo livello che abbiano .vin o .wine come estensione.

I domini .it, o .com, o .eu, sono i cosiddetti Top Level Domain (TLD), o Domini di Primo Livello. Il sito Webinvigna.it è invece un dominio di Secondo Livello, perché è composto da un nome e da un TLD. Questo dominio viene affittato da chi ne faccia richiesta; quando ho aperto questo sito, ho semplicemente digitato il nome Storiedelvino.it in un motore di ricerca, ho visto che non era usato da nessuno ed ho inviato la richiesta al mio provider di hosting. Un dominio .it costa all’incirca 7€ l’anno, un .com qualcosa in più.

Questo significa che il consorzio Franciacorta, ad esempio, potrà inviare la richiesta alla società che si aggiudicherà l’asta per affittare il dominio (di secondo livello) Franciacorta.vin o Franciacorta.wine o entrambi. I prezzi li decideranno le società concessionarie, ma non credo che potranno spendere più di 100€ l’anno per ognuno. 

images3Sostenibili, direi.

La stessa cosa potrà fare il consorzio dei produttori del Barolo, ed avere al costo di (supponiamo) 100€ l’anno due domini, barolo.vin e barolo.wine.

Io stesso potrei prendere in affitto il nome webinvigna.wine o webinvigna.vin, se pensassi che fosse conveniente.

Vediamo che modo hanno i consorzi vinicoli di rapportarsi al web 2.0.

Come ho già scritto, digitando barolo.it non si arriva da nessuna parte, la rotellina ruota ruota e rimane la pagina bianca. Per vigneti che sono diventati Patrimonio Mondiale dell’Unesco, mi sembra piuttosto grave.

Se invece digitiamo franciacorta.it  si arriva alla pagina di default del provider di servizi di hosting dove probabilmente è stato acquistato un po’ di spazio web con la registrazione del dominio.

Il sito Barbaresco.it ha una bella home page, ma è finta, perché cliccando sulla voce Wines (a proposito: perché scrivere l’intestazione in italiano ed il menù a sinistra in inglese in un sito con dominio .it?) si arriva a Page not Found; le altre voci del menù rimandano a pagine ospitate sul sito specifico di un produttore di vino, (Terre da Vino, Cantine del Rondò), di un albergo o di una agenzia estera per l’affitto di appartamenti.

Di Chianti.it ho già detto nel mio citato post; il Consorzio del Brunello di Montalcino ha un bel sito dedicato al territorio (scriviamo pure di chi fa le cose fatte bene, no?), però brunellodimontalcino.it riporta anche questo alla pagina di defautl di un fornitore di hosting e servizi internet. E’ registrato dal 2000 ed è a nome di una società di Pisa (tutta roba che potete vedere anche voi andando su Whois.net, non serve Snowden).

Bene, divertitevi pure voi, adesso, cercate qualche nome e vedete che succede.

I consorzi non sempre rivendicano la proprietà di un nome; il rischio è che arrivi qualcuno ed affitti quel nome, aspettando poi di rivenderlo a chi ne faccia richiesta. Era una (brutta) abitudine di qualche anno fa, quando qualcuno iniziò a registrarsi, al costo di 10€ o simili, nomi di dominio come vascorossi.it, o giannimorandi.com, e poi rivenderli a prezzo più elevato ai legittimi proprietari del nome.

I consorzi, si sono mai preoccupati di quel che accade fuori dalla loro cantina, di come si stia modificando la rete di vendita, di come funzioni la pubblicità e la promozione da quando c’è Internet? 

A me pare solo che siano capaci di sbraitare, inutilmente e senza conoscerne molto i meccanismi, contro un sistema commerciale che consentirebbe loro di arrivare in tutto il mondo, soprattutto ai più piccoli, preferendo spendere (chi li ha) decine di migliaia di euro l’anno per promuovere fiere internazionali e premi autoreferenziali.

Analogamente fanno le associazioni che si occupano di vino; Vinitaly è solo dal 2014 che ha previsto l’accredito per i blogger, fino al 2013 potevano averlo solo i giornalisti o collaboratori di riviste cartacee.

Ora i presidenti di (alcuni) consorzi, tra cui anche francesi ed americani, si lamentano che potrebbero arrivare nel mondo vagonate di vino non controllato.

A parte che non è vero, ma svegliarsi prima no?

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