Di certo non possiamo pensare di costruire una nuova Silicon Valley in Italia, ma questo è valido per qualunque altro posto che non sia la Silicon Valley.
Il divario di conoscenze, infrastrutture, attrattiva (in pratica il brand) tra quei 400 km quadrati e tutto il resto del mondo è ormai incolmabile.
Il potere della Silicon Valley
Lì si concentrano le grandi aziende tecnologiche, di software, di hardware, di servizi, di network, lì sorgono le università di Stanford e Berkeley, lì ci sono Palo Alto e Menlo Park, Cupertino e Mountain View. Insomma, lì c’è Microsoft e Apple, Google e Oracle, Facebook, Tesla Motors ed eBay. Come si può anche pensare di replicare, pur se in piccolo, una realtà simile?
Credo che la risposta migliore sia: non si può.
La tecnologia ha senza dubbio portato enormi cambiamenti, tanto che è stato coniato un termine, Industria 4.0, per indicare la Quarta Rivoluzione Industriale, quella di Internet appunto. Ma il termine è fuorviante, visto che questo induce a pensare che il web, le nuove tecnologie, possano essere usate efficacemente soltanto dalle industrie o, al massimo, dalla finanza.
Però, provate a pensare su questa cosa.
Le città più importanti dal punto di vista economico sono Shangai, New York, Londra, Tokio, che fanno parte delle Città Alfa, ossia quelle città che fanno da guida, da capobranco per tutte le altre.
Queste città non solo producono tecnologia, ma soprattutto la utilizzano per il loro sviluppo economico; non è stato portato il sapere economico nella Silicon Valley, ma è stata portata la tecnologia in queste città, e con questa tecnologia vengono prodotti servizi innovativi.
Tecnologia, Big Data e agricoltura
Il nuovo materiale prezioso di questo decennio sono i dati, una enorme mole di dati che provengono praticamente da ogni cosa, dai nostri orologi alle nostre automobili, dai nostri soldi ai nostri profili social. E dai trattori, dai campi di nocciole e, perché no, dalle vigne. Questa è l’epoca dei Big Data, e sembra che sia proprio la Silicon Valley a detenere il potere:
La disuguaglianza regionale diventerà a livello globale qualcosa di diverso rispetto a quanto abbiamo visto finora, tranne forse al potere relativo di Roma nei confronti del mondo antico (Charlie Songhurst, fondatore e partner della società di venture Katana Capital)
Uno dei campi interessanti per chi si occupa di data analytics è l’agricoltura di precisione.
Il presidente di Google, Eric Schmidt, aveva fondato Farm2050 nel 2014 insieme a Dror Berman, imprenditore israeliano esperto di venture capital, per una partnership che combina analisi dei dati, robotica e tecniche agricole e che vede tra i soci Google, DuPont, 3D Robotics.
La Silicon Valley si sta spostando verso il settore dell’agricoltura investendo parecchie centinaia di milioni di dollari.
Le imprese di analisi dei dati verranno da tutte le parti del mondo. Si ha, da una parte la competenza degli algoritmi, che deriva da un gran numero di università, e dall’altra la competenza settoriale in specifiche attività, che si manifesta dappertutto (Mark Goremberg, direttore generale della Zetta Ventures Partners)
Per dare seguito alle sue parole, Gorenberg sta investendo nel settore della biotecnologia a Boston per creare aziende di dati sanitari, e in Texas per creare aziende di dati energetici. I dati si spostano dove risiede la conoscenza settoriale.
Guardare l’erba crescere in Nuova Zelanda
In Cina, grazie alle migliori condizioni economiche generali ed alla sempre più massiccia presenza di aziende straniere, è aumentata la domanda di carne bovina e prodotti caseari; tra i mercati di importazione c’è la Nuova Zelanda, che però aveva tassi di efficienza non molto alti e non riusciva a sfruttare il potenziale di questo nuovo mercato. Il problema degli allevatori neozelandesi era quello di aumentare la loro produttività.
La PastureMeter, un’azienda di Palmerston nella regione di Manawatu-Wanganui, ha sviluppato una tecnologia per l’agricoltura di precisione che, usando nuove tipologie di sensori, è in grado di misurare duecento parametri del terreno ogni secondo, così da avere la possibilità di distribuire le vacche nel modo più efficiente per la loro alimentazione. Avverte gli allevatori, tramite una semplice app da usare sul proprio smartphone, quali sono le aree a bassa produzione così da poter intervenire sul foraggio.
Le vendite di bovini dalla Nuova Zelanda alla Cina sono cresciute del 400% in un anno, ed ora il mercato cinese frutta il doppio di quello americano, per gli allevatori neozelandesi.
I Big Data dell’Africa
Un programmatore della Tanzania, Eric Mutta, ha sviluppato l’applicazione Grainy Bunch, uno strumento che si basa sui Big Data per il monitoraggio dell’acquisto, lo stoccaggio, la distribuzione ed il consumo di grano, in modo che gli agricoltori possano sapere esattamente dove portare e dove vendere il loro prodotto per riuscire a spuntare il prezzo migliore.
In Kenya è stata sviluppata iCow, un’applicazione di messaggistica sviluppata dalla signora Su Kahumbu che fornisce informazioni sulla mestruazione, la mungitura ed il mercato delle mucche. Gli allevatori così ottengono il meglio dalle proprie vacche e del valore del latte al mercato, migliorando naturalmente la propria condizione economica. L’app iCow consente anche di mettersi in contatto con il veterinario più vicino in caso di malattia di uno dei bovini. In media, ogni allevatore del Kenia possiede tre mucche. Dopo sette mesi dall’utilizzo di questo sistema, la crescita della produzione è equivalente all’acquisto di una quarta mucca.
Il vino italiano a rischio arretratezza
Questi sono solamente tre esempi di come alcuni territori abbiano saputo sfruttare la tecnologia e l’analisi dei dati usando la propria specializzazione settoriale. E sono notizie di qualche anno fa.
Tre esempi di come la bravura e l’esperienza in un settore commerciale o agricolo, come potrebbe esserlo la produzione di vino in Italia, possano diventare non solo un volano per l’economia locale, ma soprattutto possano far diventare quel territorio una ‘città Alfa’, un precursore di innovazione e, quindi, l’esempio da seguire per altri territori.
Sempre che altre nazioni, come l’Australia o Israele, non arrivino per primi.
Ed a quel punto, bisognerà adeguarsi o perire.
Nota: La gran parte delle informazioni su questo post sono state prese da
Il nostro futuro: Come affrontare il mondo dei prossimi vent’anni
di Alec Ross
Benissimo ma quale è la situazione nella produzione del vino in Italia? Quanti hanno già recepito il messaggio? Quale è la sensibilità delle aziende? Io non lo ancora capito!
Ciao Raffaele. La sensibilità nei confronti delle nuove tecnologie, da parte delle aziende vinicole italiane, non è molta. Alcuni esperimenti sono stati fatti, come leggi regolarmente qui, ma spesso restano, appunto, esperimenti. Considera che parlando con qualche consorzio delle Strade del Vino, quando ho chiesto di inviarmi il file con i POI lungo il percorso della strada ho avuto l’impressione di parlare ostrogoto. Sto provando a lavorarci su, ma certo non è semplice