L’articolo di Elisabetta Tosi su The Italian Wine Journal, precisa come sempre, accende una lampadina sul problema della sostenibilità del vino; una lampadina che invece dovrebbe essere un riflettore, e non lo è certo non per sua mancanza. Il post è davvero interessante, perché non svela solo un problema ma mostra anche una (possibile) soluzione.
Tutto parte dalla Sicilia, dove è più alto il numero di produttori di vino biologico; un ottimo risultato per una terra che certo non è seconda a nessuno per la ricchezza naturale delle sue materie prime. Vi invito davvero a leggere il post di Elisabetta, ci sono dentro parole di estremo buon senso e molto pragmatiche.
E però tutto questo non basta, dice lei e le persone che ha intervistato. Ma un inizio di soluzione c’è.
L’ente SOStain è la fondazione, a cui partecipano Assovini Sicilia e il Consorzio di tutela dei vini DOC siciliani, che ha prodotto un disciplinare di sostenibilità. Significa che chi aderisce a questo disciplinare dovrà produrre il proprio vino seguendo dei canoni di rispetto per l’ambiente e per le risorse circostanti. Significa che i produttori siciliani si stanno dando da fare per migliorare la sostenibilità del vino e degli step produttivi.
C’i sono utilizzo di tecnologie a basso impatto, materiali eco-compatibili, gestione del vigneto; di quest’ultimo aspetto ne ho parlato già nel blog, ad esempio qui. Un vero e proprio decalogo che mette il viticoltore di fronte all’importanza che il suo lavoro ha nell’ambiente che lo circonda. Non solo a breve raggio locale, ma globale; e qui Elisabetta Tosi utilizza molto bene la famosa frase di Patrick Geddes (1915): pensa globalmente, agisci localmente. E quindi quello che fai vicino casa avrà degli impatti anche a centinaia o migliaia di chilometri di distanza.
Tra i punti che mi hanno dato lo spunto per questo post c’è il numero 8, quello sul peso delle bottiglie. Una bottiglia di vino pesa in media attorno a 1kg, ma il 40% di questo peso è dovuto al vetro. Sono, mediamente certo, 400 grammi che devono essere trasportati e necessitano energia per essere prodotti.
Packaging sostenibile, ma il trasporto?
Sanno bene, in questi mesi, i produttori di vino la difficoltà nel trovare bottiglie di vetro a prezzi accessibili. Usando bottiglie più leggere e prodotte da vetro riciclato, si migliora l’impatto ambientale, l’impronta carbonica. E così mi sono detto: giusto, ma tutto il resto della filiera?
Se i produttori si danno da fare per diminuire l’impatto ambientale e poi tutti i loro sforzi vengono persi nei passaggi della supply chain, a cosa è servito il loro sforzo? Dove va a finire la sostenibilità del vino, ottenuta con aumento di costo e lavoro dal singolo produttore?
Oggi la filiera che porta il vino sulle tavole dei consumatori è piuttosto frammentata; il camion del trasportatore dalla cantina al porto, o alla ferrovia, o al magazzino del distributore. Da qui altri mezzi di trasporto a volte parecchio inquinanti che fanno aumentare la carbon footprint del vino.
Misurare la carbon footprint del vino
Tappo e bottiglia sono in parte responsabili della carbon footprint, ma sul trasporto il produttore non ha controllo. Qui fare i conti non è per niente semplice, ovviamente, ma è probabilmente la parte che incide di più. Un ettaro di vigna assorbe la stessa quantità di CO2 prodotta da 20.000 bottiglie, che vorrebbe dire 200 q/ha (sto facendo conti molto spannometrici, intendiamoci). Con le basse rese di un vigneto bio (intorno a 70-80 q/ha), il bilancio è estremamente favorevole. Sempre se non consideriamo il trasporto, però.
Nell’articolo di WineGB troviamo che si sta mettendo in piedi una specie di misuratore della carbon footprint; non è probabilmente una cosa molto precisa, ma è un passo avanti. Ed è interessante come l’associazione dei viticoltori del Regno Unito abbia una sezione dedicata alla sostenibilità del vino.
Anche in Italia esiste un sistema di produzione integrata, il SQNPI, a cui le aziende agricole e vitivinicole possono aderire. Dopo un percorso di verifiche, si ottiene la certificazione; lo ha fatto ad esempio Guado al Melo, a Bolgheri. Ma certo, come dice Alberto Tasca nel post di Elisabetta Tosi, ogni regione, ogni zona poi deve trovare soluzioni localizzate. Mi piacerebbe però, su quest’argomento, vedere i produttori andare insieme nella stessa direzione.
Il passo fatto da SOStain è quindi un input importante per il mondo vinicolo italiano, che potrebbe iniziare a legare la propria immagine all’impegno ambientale. Ed inoltre la sostenibilità del vino può far bene anche al marketing, oltre che all’ambiente.