Lotta ai falsari con Blockchain

Ricorderete probabilmente la storia di Rudy Kurniawan, il truffatore indonesiano arrestato nel 2013, che dal 2008 al 2012 vendette bottiglie contraffatte di vino di alto prezzo, tanto da essere chiamato ‘Dottor Contì’ grazie alla sua predilezione per il rosso di Romanée-Contì.

Contraffazioni di pregio e di massa

Se volete trovare qualcosa sulla sua storia, ho pubblicato su Storie del Vino un accettabile (spero…) sunto in due puntate, qui la prima parte e qui la seconda.

Senza dover essere così sofisticati, le truffe perpetrate ai danni del vino sono numerose: in ordine di tempo l’ultima è relativa al sequestro di 400 bottiglie di finto Barolo e di finto Moscato in un capannone di Roma gestito da cinesi. False le etichette e falso anche il contenuto, visto che oltre a non essere né Barolo né Moscato, alla fine non era praticamente nemmeno vino.

Il vino, ma vale per molta parte del food Made in Italy, sembra essere di gran moda tra i truffatori, vista anche la compiacenza di alcuni oscuri supermercati di periferia frequentati per lo più da stranieri. Ma la storia del ‘Dottor Contì’ ci dice anche che ad essere contraffatte sono bottiglie di pregio, con costi che partono da parecchie centinaia a parecchie decine di migliaia di euro.

Come difendersi?

[wc_box color=”inverse” text_align=”left”]

Oltre ad essere una truffa per il consumatore, la sofisticazione è un danno enorme per tutta la filiera del vino, che ogni volta rischia di trovarsi, suo malgrado, al centro di critiche immeritate.[/wc_box]

La Francia è di certo il Paese che più risente delle truffe sui ‘fine wines’, ossia quelle bottiglie da collezione che vengono vendute alle aste con prezzi a partire da 10.000€ in su, e ne risente soprattutto a causa della sua forte presenza in Cina, dove i vini pregiati francesi (ma non solo) vengono letteralmente presi d’assalto.

Certificazione di provenienza

Una soluzione ipotizzata è la serigrafia su bottiglia di un codice, o l’inserimento di un tag RFID o NFC dietro l’etichetta, in modo che qualunque tentativo di manomissione sia facilmente identificabile.

Il problema di questo metodo risiede però nel sistema di verifica da parte dell’acquirente: il database deve essere centralizzato ed il cliente deve potervi accedere per verificare la bontà del proprio acquisto, con il rischio di avere centinaia di database diversi, uno per ogni casa vinicola o consorzio, aumentando così la confusione. Anche sistemi basati sulla spettroscopia per verificare l’autenticità del vino contenuto nella bottiglia sono utilizzabili sono in casi sporadici. 

Negli Stati Uniti la società ShipCompliant ha creato un database che contiene tutte le oltre un milione di etichette di bottiglie approvate dal Treasury’s Alcohol & Tobacco Tax and Trade Bureau, ed il servizio ha un costo di circa 700$ al mese. Questo sistema, pur se evita la contraffazione madornale di etichette, non riesce ad essere così efficace nel caso di etichette ben fatte, soprattutto per i vini più costosi, ossia quelli che più risentono dalle truffe.

Vino, Diamanti e Blockchain

Un altro mercato dove le truffe sono all’ordine del giorno è quello dei diamanti. Uno studio commissionato nel 2012 dall’Associazione delle compagnie assicurative inglesi, ha stimato che le assicurazioni spendano 2 Miliardi di sterline l’anno per rifondere i danni derivanti da acquisti di diamanti falsi o non tracciati, e che comunque il 65% delle contraffazioni rimanga impunito.

I diamanti subiscono operazioni di taglio, così che da un singolo diamante se ne possono ottenere anche diverse decine di più piccoli; questo significa che occorre tracciare tutta la vita del diamante, dalla pietra iniziale fino al gioielliere finale ed al proprietario ultimo.

Un bel problema, che la società Everledger sta tentando di risolvere utilizzando il sistema che è alla base dei famigerati Bitcoin, ossia la Blockchain.

Il meccanismo della Blockchain, che ho brevemente spiegato anche qui, potrebbe riuscire a risolvere questo problema, con l’inserimento di codici microscopici sul diamante, codici che andranno a comporre la ‘chiave’ della catena e che verrà arricchita da ogni passaggio di mano con nuove informazioni digitali.

Il database dove rintracciare i codici infatti è pubblico, ed è condiviso: ad ogni transazione vengono creati dei blocchi di dati, distribuiti su molti elenchi, ossia database; l’insieme di ogni blocco di dati viene poi unito insieme per formare una catena (chain) con un algoritmo di cifratura a chiave privata e verificate in modo casuale dai cosiddetti ‘miners’, i minatori (altri computer distribuiti in rete) che scavano per cercare la chiave univoca e convalidarla. Solo quando le convalide sono state fatte da almeno il 51% dei minatori, la si considera valida.

Sistemi di tracciatura necessari

Se vi interessa saperne di più, senza andare a leggere il complicato report di Satoshi Nakamoto (l’ideatore dell’algoritmo, una fantomatica figura di cui non si sa più nulla), potete dare un’occhiata sul sito di Bitcoin.org.

Il sistema rischia di essere poco comodo da utilizzare, in particolare per i piccoli vignaioli che non hanno un facile accesso ai professionisti di questo settore, eppure è il più adatto, ed il meno costoso, proprio per piccole quantità di oggetti. In ogni caso il piccolo vignaiolo dovrà prima o poi dotarsi di sistemi di tracciatura, quanto meno per dare un valore aggiunto alla propria clientela.

Il meccanismo in effetti è piuttosto complesso; si fa uso di algoritmi matematici di non semplice comprensione, ma il processo end-to-end è lineare: il venditore crea la propria chiave univoca relativa all’oggetto, bottiglia o diamante che sia, e questa chiave segue dovunque il bene, segnando anche eventuali passaggi di mano da grossista a dettagliante.

Non si può falsificare una chiave di Blockchain, perché nasce da un algoritmo di crittografia che (fino ad ora) non può essere scardinato; è un meccanismo anche più sicuro della cifratura della nostra carta di credito quando effettuiamo acquisti online.

Probabilmente tutto questo sistema è ancora troppo oscuro per essere ben compreso da tutti, e questo implica una mancanza di confidenza ed una generale sensazione di inaffidabilità. Per grandi partite di vino, inoltre, potrebbe essere scomodo generare migliaia di codici che devono poi essere verificati dal grossista.

Di certo però una tecnologia di questo tipo, visto che sta facendo gola a grandi banche come Barclay’s e Goldman&Sachs, abbastanza presto prenderà piede.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *