Digitalizzare il vino

Digitalizzare il vino

Aggiungere l’etichetta ‘digitale’ a qualunque cosa, non serve a molto e certo non serve per digitalizzare il vino. La dicotomia tra mondo reale e mondo virtuale, quando si parla di vino, sembra ancora più evidente di quanto non appaia per altri argomenti.

Reale e Virtuale

Cominciamo subito a dire che questa dicotomia in generale ormai non esiste più. Poteva essere vero negli anni ’90, quando l’interazione tra persone era limitata ai newsgroup e ICQ o MiRC e si navigava in Internet solo da desktop. L’avvento dello smartphone e dei dispositivi mobile ha completamente cambiato quel mondo (di appena 20 anni fa), perché ormai è tramite questi oggetti che interagiamo con tutto il resto del mondo, anche se a costo della nostra privacy. Il discorso è lungo e complesso, e sono stati scritti numerosi saggi sull’argomento. 

Il tutto passa, quindi, dalla interazione, che vuol dire agire insieme: le persone, non solo i giovani Millennial, si muovono più frequentemente, e quindi aumenta la possibilità di incontrarsi anche casualmente. 

Divisione o Disuguaglianza?

Il concetto di Digital Divide, ossia la barriera tra chi naviga con i Gb e chi naviga con i Mb, tra chi usa le nuove piattaforme e chi è rimasto a Facebook, sta andando velocemente (si spera), in soffitta. Oggi invece occorre parlare di Digital Inequality, la disuguaglianza digitale, che indica la barriera tra chi utilizza la tecnologia e chi no, anche se potrebbe farlo. In realtà se ne parla già da oltre dieci anni.

E’ chiaro, e questo è il punto centrale, che un conto è produrre pezzi di ricambio inviando un file ad una stampante 3D, ed un altro è produrre vino, un conto è trasferire bit ed un altro trasferire atomi.

Come digitalizzare il vino?

Eppure già adesso, se ci pensate, noi prendiamo atomi e diamo in cambio bit, e questo accade ogni volta che facciamo un acquisto online di un bene materiale: un paio di scarpe, un frigorifero, una bottiglia di vino. 

Abbiamo visto i computer uscire da grandi stanze climatizzate per entrare in armadi, passare poi sulle scrivanie per finire quindi sulle nostre ginocchia e infine nelle nostre tasche. Ma non finisce qui. Nei primi anni del prossimo millennio le coppie di gemelli della vostra camicia o i vostri due orecchini potranno comunicare tra loro attraverso satelliti collocati su orbite basse o possedere più potenza di elaborazione degli attuali Pc (Nicholas Negroponte, Essere Digitali, 1995)

Il processo di produzione industriale non può essere completamente calato sul processo di produzione del vino, perché il suo sapore ed il suo odore comprendono anche le tradizioni e la sapienza artigianale (sia dove esiste realmente sia dove esiste solo nella comunicazione, ossia ancora una volta, nei bit) del vignaiolo. 

Non sto parlando di fare il vino usando il replicatore di Star Trek, ma dell’intero processo che, dalla vite, porta a riempire il mio bicchiere del vino adatto ad un buon pranzo. Certo, come scrivevo parecchi mesi fa, i processi tecnologici nella produzione sono diventati importanti.  

Accesso al Digitale

E questo processo riguarda aspetti che, oggi, possono essere aiutati e migliorati grazie alla tecnologia, quelle tecniche di cui avete già letto in altri post, ossia il monitoraggio dello stato del vigneto, la conoscenza di come i cambiamenti climatici stiano incidendo sulle produzioni, la difesa del proprio marchio contro le contraffazioni, la conoscenza dei propri clienti.

Il sociologo Jan Van Dijk affermava (The Handbook of Internet Politics, Routledge, London and New York, 2008) che la Digital Inequality è composta in realtà da quattro aspetti differenti: la mental access, ossia l’avversione verso la tecnologia, la material access, la possibilità di accedere alla tecnologia, lo skill access e l’usage access, ossia la capacità di usare le tecnologie e di sfruttarne il potenziale. 

Il mondo del vino deve quindi, prima di tutto, superare ognuno di questi quattro aspetti. Deve innanzitutto perdere quella naturale repulsione verso tutto quel che ‘odora’ di macchine e tecnologia. Deve chiedere che la propria cantina sia cablata con una rete in fibra, così da poter ad esempio controllare quanto accade nel vigneto anche se è a migliaia di km di distanza per partecipare ad una fiera in Australia. Limitarsi allo storytelling verbale è diventato velocemente obsoleto, la comunicazione deve essere dinamica e interattiva.

La comunicazione deve coinvolgere il destinatario e farlo partecipare.

Le scelte che facciamo su come gestire i dati, saranno importanti quanto lo furono le decisioni sull’impiego della terra durante l’era agricola, o sull’impiego della fabbrica durante l’era industriale. Abbiamo una ristretta finestra temporale prima che si instauri un insieme di norme che sarà pressocché impossibile sovvertire. (Alec Ross, Il nostro futuro, Feltrinelli 2016)

Una nuova frontiera per il vino

E deve acquisire, personalmente o tramite consulenti specialistici, quelle conoscenze che gli o le consentano di usare al meglio tutte quelle diavolerie che gli hanno fatto installare, per potersi creare i propri report (lui o il settore marketing, esterno o interno che sia) per capire chi e dove stia bevendo il proprio vino, o usare un drone con una GoPro installata per una vista dall’alto dei propri terreni. 

Digitalizzare il vino non deve essere una moda, ma un processo costante, e vuol dire iniziare ad usare i dati che il cliente genera. Quelli che oggi vengono usati dalle grandi piattaforme tecnologiche.

Il mondo del commercio e dello scambio di beni e servizi si sta muovendo sempre più velocemente in questa direzione; deve farlo perché si è reso conto che le aziende che possiedono le Disruptive Technologies gli stanno portando via fette di mercato sempre più ampie, anche se fanno un vino di qualità minore. Ora però è il momento imparare ad usare queste tecnologie, perché se non iniziate a digitalizzare il vino, saranno le grandi piattaforme a farlo per voi.

 

 

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